

Matelica, la città del Verdicchio, del miele e di Enrico Mattei, si trova in provincia di Macerata, nelle Marche. Sorge al centro dell’Alta Valle del fiume Esino, l'unica valle marchigiana che si sviluppa almeno parzialmente da nord a sud.
Il suo territorio è in prevalenza collinare ed è circondato ad est dalla catena del Monte San Vicino e ad ovest dall’Appennino Umbro-Marchigiano.
Le sue origini sono antichissime e si perdono nella nebbia dei tempi, così come sono antiche e misteriose le origini del suo nome: in tutto il mondo infatti non esiste nessun altro luogo o città con questo nome. E sono rarissimi quelli che terminano con la stessa desinenza.
Una cosa è certa, ai tempi del grande storico romano Plinio il Vecchio (morto nel 79 d.C.) il suo nome Matilica Matilicatis, le era già stato assegnato.
Le prime testimonianze della presenza dell'uomo nel territorio di Matelica risalgono al Paleolitico.
Dall'incontro delle popolazioni umbre, una popolazione indoeuropea stanziatasi nella valle del fiume Esino nel 2000 a.C., con i piceni, con un popolo proveniente dall'Abruzzo e dall'ascolano, nacque, probabilmente, il primo centro abitato.
A questo periodo risale l’incredibile ritrovamento di numerosi vinaccioli di "Vitis Vinifera" in una tomba picena, appartenuta sicuramente ad un personaggio di rango principesco. Si tratta di una straordinaria testimonianza delle antichissime origini della coltivazione della vite in questa zona.
Matelica fu poi conquistata dai Romani e intorno alla metà del 1° sec. a.C. divenne municipio, e quindi poteva avere una propria struttura politica ed era comandata da persone del posto. Di questo periodo restano una domus romana e vari mosaici visibili lungo Corso Vittorio Emanuele, protetti da una teca trasparente.
Con l'avvento della cristianità, la chiesa si diede una organizzazione territoriale e Matelica divenne sede vescovile sin dal 400 d.C.
Dopo la caduta dell’Impero romano, il Vescovo rimase l'unica autorità di riferimento: la città subì diverse incursioni dei barbari e la popolazione soffrì la fame per le carestie e le invasioni.
Nel 552, gli Ostrogoti di Totila si scontrarono con il generale bizantino Narsete e questa parte del territorio passò sotto il controllo dell’Impero Romano d’Oriente Totila morì in battaglia e la sua tomba si trova proprio a Matelica. La città visse, quindi, un breve periodo di pace e prosperità.
Ma nel 578 d.C., arrivarono i nuovi invasori Longobardi, e Matelica venne distrutta, entrò a far parte del Ducato di Spoleto, e passò sotto la diocesi di Camerino.
La popolazione si rifugiò sulla altura dentro una fortezza ed iniziò a formarsi il borgo medievale.
Con l'arrivo dei Franchi, la città fu ricostruita e, dopo l'incoronazione dei Carlo Magno nell’800 iniziò il feudalesimo e Materlica fi assoggettata a dei Conti che rappresentavano l'imperatore.
La città, pur se formalmente sotto il dominio della Santa Sede, fu incorporata nella Marca di Ancona e soggetta quindi al potere imperiale. Il più famoso di questi conti, Attone, guidò, nel 964 d.C., una parte delle truppe di Ugone, re d’Italia, contro quelle del Duca di Spoleto, Ascaro, presso Camerino, dove entrambi persero la vita.
Durante il dominio di Federico Barbarossa, intorno al 1150, mentre l’imperatore era in Germania, i cittadini di Matelica si ribellarono ai Conti feudatari, li sostituirono con dei Consoli e costituirono un libero comune.
Ci furono poi nuove guerre e nel 1174 l'Arcivescovo di Magonza Cristiano, fedele al papa Alessandro III, rase nuovamente al suolo la città.
Nel frattempo, il Ducato di Spoleto a cui apparteneva Matelica, dopo varie vicissitudini, che videro i confini modificati e i suoi territori di volta in volta separati o uniti alla Marca d'Ancona e alla Romagna, nel 1198 divenne parte dello Stato Pontificio.
Di conseguenza anche Matelica, nel 1266, fu ristabilita l'autorità pontificia e il territorio passò sotto le dirette dipendenze della Santa Sede.
Dalla fine del Trecento il vicariato della città fu affidato da papa Bonifacio IX agli Ottoni, i quali iniziarono una riforma fiscale, promossero lo sviluppo dell'industria della lana, della tintoria e della concia, restaurarono le mura, costruirono il campanile della cattedrale. All'inizio del sedicesimo secolo ampliarono pure i commerci e le strade, tanto che si potevano contare ben centodieci mercanti in città.
Nel 1576, dopo tante lotte interne alla famiglia e numerosi viaggi di cittadini a Roma per lamentarsi dell’eccessiva crudeltà e tirannia degli Ottoni, papa Gregorio XIII tolse definitivamente il vicariato di Matelica agli Ottoni.
Nel 1618, papa Paolo V Borghese affidò Matelica a un Governatore indipendente e per questo lo stemma di Paolo V si trova sulle porte dei principali edifici pubblici.
Nel 1692 la cittadinanza si rappacificò con i conti Ottoni, nominandoli cittadini onorari, e nel 1761 la città tornò ad essere una sede vescovile.
Con l'arrivo di Napoleone nel 1796, a causa della soppressione del vescovado e della liberalizzazione dei commerci, Matelica subì un forte declino industriale.
Il ritorno sotto lo Stato Pontificio, nel 1814, fu quasi un sollievo per la popolazione che tuttavia issò sul Palazzo del Comune le bandiere tricolori durante i moti del 1848, conosciuti anche come la primavera dei popoli. Nel 1861 il "sì" all'unione al Regno D'Italia vinse a maggioranza schiacciante.
La nuova situazione riportò il libero commercio e l'attività da industriale divenne agricola, impoverendo parecchio tutta la popolazione.
Durante la seconda guerra mondiale, Matelica ospitò un battaglione di soldati italiani, che, dopo l'armistizio, furono nascosti dagli abitanti e, assieme ai giovani del luogo e ad alcuni soldati stranieri, formarono la resistenza locale.
Dopo la guerra, grazie anche all'interessamento di Enrico Mattei, sono nate importanti industrie di confezioni e metalmeccaniche. Di questa nuova ricchezza ne ha giovato anche l'agricoltura che si è specializzata nell’allevamento, nell’apicoltura e soprattutto nella viticoltura.
Il famoso Verdicchio di Matelica DOC è una eccellenza conosciuta in tutto il mondo.
Foto di copertina di Erminio Burzacca
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