Mostra “Lapidi di strada”

Mostra “Lapidi di strada”

“Lapidi di Strada - Tutti dormono sulla Collina” è il titolo della mostra di fotografie di Simeone Ricci che raccoglie immagini di epitaffi lungo le strade italiane. La mostra si trova all'interno della II edizione “ARTE a KM 0” a Corviale (Roma) ed è uno studio sulle lapidi poste lungo le strade italiane e che testimoniano i tanti incidenti stradali.

Inizialmente questo lavoro era nato per una campagna sulla sicurezza stradale ma la profondità di quello che Simeone Ricci ha trovato lo ha convinto ad approfondire la ricerca. Queste lapidi sono state poste dai familiari delle vittime di incidenti a memoria di quanto accaduto ai loro cari.

“La prima volta che ne ho fotografata una pensavo di trovare frasi di morte. Sono stato abbagliato da quella lapide, in apparenza fredda e gelata, un apparente simbolo di morte e di perdita di affetti. E invece dietro ho percepito un mondo infinito. Più mi avvicinavo e più mi rendevo conto che non c’era solo lutto e dolore, ma una voglia disperata di vivere”.

La ricchezza dei versi ricorda da una parte gli epitaffi lasciati dagli antichi romani lungo la via Appia e dall’altra i testi dell’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Un abbraccio fra continenti ed epoche che riassume la vita di questo fotografo romano che ha trascorso molti anni negli Stati Uniti.

“Ho vissuto molti anni a New York, senza avere mai posseduto un’automobile, poiché risiedevo a Manhattan, dove quasi nessuno ne possiede una. Ricominciai cosi, a guidare al mio ritorno a Roma. Mentre guidavo notai che le nostre strade erano disseminate da queste lapidi. Spesso mentre le notavo, qualcuno mi tagliava la strada, non rispettava le precedenze, non segnalava un cambio corsia o parlava al telefono guidando. Cosi per curiosità ma credo più per una forma di attrazione, un giorno, dopo aver accompagnato i miei ragazzi a scuola, mi fermai davanti ad una di esse. Ci passavo ogni giorno.

Una sete di vivere.

Quindi non il semplice desiderio di poter resuscitare qualcuno caro, un parente, un fratello, un amico, ormai perso per sempre. Non c’era un vero rimpianto del passato che non c’è più. Ma c’era la vita che va incessantemente avanti. La vita legata a quell’attimo preciso, impercettibile, ma oramai facente parte di un passato.

C’era il presente, ma c’era soprattutto il futuro.

Ma c’erano anche una tragedia di sui si parla solo quando si vuole. Di forme di fatalismo e immortalità legate alla nostra cultura cattolica, d’irrazionalità e sfida del pericolo, di voglia di sballo, di strafare. Mi sono accorto che la maggioranza delle lapidi erano di ragazzi/e sotto i 30 anni.

Per questo ho pensato a Spoon River e non ho più smesso di fotografarle. Volevo esprimere i colori, la loro esplosione di vitalità, celata dietro la superficie lugubre e tetra. Non il dolore, ma la gioia che la vita va avanti, a prescindere e nonostante tutto. Ho voluto testimoniare alle persone, ma soprattutto ai ragazzi, che quando ci mettiamo alla guida di una macchina, di una moto, un motorino siamo potenzialmente al volante di una possibile arma letale. Quando invece dovremmo essere alla guida di una “macchina” di vita, ma ancor più di libertà.”

Le fotografie della mostra sono state proiettate durante le rappresentazioni teatrali di “Il Vetro e l’Anima”, liberamente tratto dal racconto ”120!140!160!” del libro ” Mandami a dire“ di Pino Roveredo.


Scritto da
Claudia Bettiol

Ingegnere, futurista e fondatrice di Discoverplaces. Consulente per lo Sviluppo Turistico dei Territori, specializzato nella sostenibilità e nella promozione culturale dei piccoli territori e delle...

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