Roberto Lanaro: il filosofo del ferro

Roberto Lanaro: il filosofo del ferro

“Il ferro non si scolpisce, si plasma. Non si lavora per sottrazione di materiale ma seguendo e liberando le sue enormi energie”, con queste parole lo scultore Roberto Lanaro ci racconta del suo amore per il ferro.

L’amore per i metalli gli viene dalla sua famiglia, che a Molvena ha un laboratorio, e Roberto inizia creando opere funzionali, ossia aggiungendo arte ad oggetti di uso comune. Seguono gli studi all’Accademia di Venezia e di Salisburgo. Ma la sua vita di artista è impregnata di filosofia, dall’amicizia con il filosofo Dino Formaggio ha sempre approfondito la riflessione tra pensiero e forma.

Roberto, come la filosofia ha influenzato il tuo essere artista?

E’ racchiusa in tutte le mie opere: la loro matrice comune è l’esaltazione degli opposti, mettere assieme il razionale con l’irrazionale. Io sono attratto dagli opposti, perché il loro dialogo rispecchia la vita.

La geometria rappresenta la ragione, mentre la curva l’imprevisto e l’emozione. Le mie opere sono segni che suggeriscono messaggi, sono aperte a diverse interpretazione a seconda dei sentimenti con cui una persona le guarda. Questa è la bellezza dell’arte contemporanea!

Quali sentimenti vuoi trasmettere attraverso le tue opere?

Ho realizzato sculture funzionali ed artistiche come la porta della Basilica di Sant’Antonio a Padova. In tutte cerco di trasmettere i rapporti esistenti nella vita, ma è difficile sapere ‘perché’ creo. Il fulcro è proprio quello di non saperlo: per me creare è una necessità.

Roberto, le tue opere nascono nella tua mente ma alla fine diventano un ‘bello sconosciuto’…

Il mio processo creativo ha seguito 3 fasi: l’arte figurativa, la fase di interpretazione della realtà e ‘le fratture-torsioni’ che hanno avuto inizio negli anni ’80. Se agli albori creavo animali, in seguito ho cominciato a lacerare il metallo come a voler conoscerne l’anima. Con le torsioni e le pieghe il metallo si stabilizza nello spazio.

Spesso da un progetto iniziale si arriva ad un’opera ‘altra’ perché il metallo si curva, si muove, segue l’istinto. In quel momento mi accorgo che ciò che nasce è un valore, perché la diversità è un valore. Se questa diversità è un’imperfezione la elimino, se invece è una ricchezza l’accetto.

Nella vita non c’è niente di assoluto e l’opera è sempre diversa dallo schizzo.

Perché il ferro, che cosa ha di unico questo metallo?

Tramette forza, ha il fascino di poter apparire crudo. Il ferro non lo lucido ma lo lascio rude appositamente. Preferisco l’opera piena e non vuota: nell’opera vuota non si vede all’interno, mentre in quella piena c’è sostanza e posso trasmettere un messaggio di verità.

Non pensavo al bello finché non ho iniziato a scolpire gioielli che devono essere indossati e abbellire le donne. I gioielli mi hanno aperto un mondo diverso. Li realizzo impiegando tutti i materiali, soprattutto, quelli poco preziosi, nobilitandoli con l’esaltazione degli opposti: crudezza e bellezza.

Penso che le mie sculture siano innovative e rappresentino l’unicità nel momento in cui le creo, non ce ne sono in quell’attimo altre di uguali.


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