Arringo, come l'antico piazzale interno del Castello di Piglio.
Nel Medioevo ci si accedeva tramite uno scalone di pietra, che scendeva ripido dalla zona superiore del castello stesso e sbucava proprio lì. Era un grande spazio aperto, circondato da mura spesse e severe.
Per soffitto, l'arringo, aveva solo il cielo.
Un cielo di un azzurro stordente, come quello dei lapislazzuli sminuzzati che di lì a poco i grandi pittori italiani rinascimentali avrebbero usato per ridisegnare una volta per sempre i confini della bellezza.
Nei giorni di festa, popolo e notabili del paese si incontravano in quello spazio così intimo e armonico, dove natura e ingegno umano avevano trovato un perfetto equilibrio.
Quell'equilibrio e quell'armonia che abbiamo cercato di restituire attraverso un vino capace di scorrere non solo in un bicchiere, ma in secoli di storia.
Un prodotto nato per testimoniare l'amore viscerale verso una terra prodiga e materna. Un fazzoletto di borghi, campi e vigne che è stato approdo di artisti, condottieri e avventurieri che qui hanno intrecciato i loro valori con quelli di un'arcaica cultura contadina disposta però ad accogliere e a confrontarsi.
L’Arringo nasce da tutto questo, e dalla forte volontà dell’ARSIAL (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l'Innovazione dell'Agricoltura del Lazio) che ha promosso e finanziato un progetto sperimentale in collaborazione con l’Università della Tuscia di Viterbo e il CREA di Velletri, dando la possibilità alle aziende dell’area del Cesanese del Piglio di partecipare al percorso di innovazione.
È un vino a doppia fermentazione che si ottiene combinando il classico processo di vinificazione con una fase di appassimento di una parte delle uve. Nel nostro caso, abbiamo fatto appassire in una cosiddetta ‘camera di appassimento’ circa un 20/25% delle uve raccolte.
Da queste abbiamo ottenuto un mosto bianco che, nella seconda fase della vinificazione, viene unito alla massa facendo così ripartire una seconda fermentazione.
Il processo della doppia fermentazione è conosciuto anche come Metodo del Governo alla Toscana, inventato dal Barone Ricasoli nel lontano 1800 con l’intento di “aggiustare” le annate considerate meno buone allo scopo di ottenere un vino fresco, pronto per essere bevuto dopo un anno dalla vendemmia. Un vino molto apprezzato dai mercati dell’epoca.
Mi hanno raccontato che in realtà la ripresa della fermentazione era una pratica che spesso veniva utilizzata anche in zona, dove la raccolta cominciava dalla valle e proseguiva verso le vigne più alte sulla collina.
Quando si arrivava a queste, il mosto si aggiungeva a quello delle vigne più basse, che spesso però aveva già finito di fermentare; e così ripartiva.
La sperimentazione, effettuata attraverso metodologia e strumentazione scientifica, si pone l’obiettivo di rendere sistematico questo processo, al fine di ottenere un prodotto che abbia profumi e consistenze capaci di esaltare il varietale, regalando al vino maturità, morbidezza e profumi generalmente senza utilizzare l'invecchiamento in legno.
L’Arringo ha un colore rosso rubino con riflessi violacei. Al naso risulta complesso, armonico, con note di ciliegia sotto spirito e spezie. In bocca, infine, è strutturato e persistente, perfetto con salumi e formaggi stagionati oppure coi primi piatti della tradizione ciociara.
Nella storia di questo vino ci sono tutte le storie che hanno reso unica questa terra. C'è il sapore della sfida, della capacità di tessere un nuovo arazzo partendo dai fili intrecciati delle nostre radici.
Perché solo chi ha radici forti, ha sempre belle storie da raccontare.
Seguici sui social