La Falanghina, uva bianca storica per la Campania ma con alterne vicende commerciali, è presente nella regione in due forme, o “biotipi” per essere tecnici: quello sannita e quello flegreo.
Due modi di interpretare il vino, due territori con storie diverse che hanno segnato il carattere delle persone e il loro modo di essere.
Oggi vi raccontiamo qualcosa del primo, ovvero di quello che è l’emblema della viticoltura del beneventano.
Siamo al centro dello Stivale, la zona è infatti ugualmente vicina all’Abruzzo e alla Puglia, non lontana dal Lazio, perfetta dunque per essere punto di passaggio e scambio, e quindi arricchimento, di popolazioni e merci.
Da questa zona, probabilmente, arrivavano le uve che davano vita all’antico e mitico ed eccezionale vino Falerno, con forti influssi greci e balcanici dovuti agli scambi con la Puglia sulle rotte della transumanza.
La fortunata posizione dell’area, inoltre, diede grandi vantaggi economici alla classe mercantile locale, capace di sfruttare le grandi produzioni “autoctone” facendole confluire verso il porto di Napoli per raggiungere così tutta Europa.
Tornando alla Falanghina, è interessante l’origine del nome che si deve, con tutta probabilità, al fatto che essendo un vitigno molto vigoroso doveva essere sostenuto con dei pali, detti appunto “falange”.
Altro punto di vanto il fatto di essere uno dei vitigni meno sensibili agli attacchi della fillossera.
Attualmente è probabilmente l’uva bianca più coltivata della Campania, superata solo dall’Aglianico (a bacca rossa appunto), e i due terzi delle superfici dedicate sono presenti proprio nel beneventano.
C’è un’altra certezza assoluta, molto particolare, che va citata: quando si parla di Falanghina del Sannio vinificata in purezza ed elevata a grande vino si può, e si deve, citare un “padre” universalmente riconosciuto: Leonardo Mustilli.
Il successo commerciale di questo vino è in realtà piuttosto recente, anche in funzione del cambiamento dei gusti e delle modalità di consumo del vino, ma tutto è partito negli anni Settanta, quando Leonardo Mustilli immaginò una nuova vita per questo vino.
La Falanghina, in perfetta sintonia con la sua vigorosa vegetazione, era capace di produrre anche 400 quintali di uva ad ettaro, una quantità spropositata, legata spesso alla distillazione o alla produzione comunque di vini bianchi leggeri, quasi sempre insieme ad altre uve.
Le novità introdotte da Leonardo Mustilli, scomparso nel 2017 a 88 anni, riguardarono proprio la lavorazione in purezza dell’uva, l’abbassamento drastico delle rese in campo e un’attenzione alla qualità mai vista fino a quel momento.
In pochi anni la Falanghina del Sannio si impose nella critica enologica, anche grazie all’opera di altri produttori “pionieri” della qualità, rendendo il territorio uno dei più importanti per la viticoltura campana e nazionale.
[caption id="attachment_113225" align="center-block" width="739"] Grappolo di Falanghina by Luciano Pignataro[/caption]
Quasi mitica, per ogni appassionato di vino, la degustazione della prima annata di Falanghina in purezza imbottigliata da Mustilli, e la prima in assoluto della storia (almeno quella moderna), raccontata da Luciano Pignataro nel suo blog.
Nel 2011 arriva l’elevazione a DOC, Denominazione di Origine Controllata, per la Falanghina del Sannio DOC, prodotta in diverse tipologie, Secco, Spumante, Spumante di Qualità, Spumante di Qualità Metodo Classico, Vendemmia Tardiva, Passito, nell’intero territorio della provincia di Benevento.
A ulteriore riprova dell’importanza di questo vitigno, e del legame con l’area di produzione, sono state selezionate anche quattro “Sottozone” con caratteristiche specifiche: Guardia Sanframondi, Sant’Agata de’ Goti, Solopaca e Taburno.
Cosa c’è di meglio che andare ad assaggiare un bel bicchiere di Falanghina del Sannio Doc accompagnandola con i classici spaghetti alle vongole?
Sebbene per molti sia un abbinamento perfetto anche per la pizza napoletana, almeno nelle versioni senza pomodoro.
[caption id="attachment_113231" align="center-block" width="628"] Cantina Mustilli[/caption]
Oppure, quando potremo tornare a spostarci, potremo andare a fare una esperienza direttamente in azienda ascoltando i racconti dei produttori. La Cantina Mustilli ha anche il primato dell’enoturismo in Campania, ma valide alternative sono la Cantina di Solopaca, una grande cooperativa colpita duramente da un alluvione nel 2015 che ha saputo rinascere, o l’Antica Masseria Venditti con agriturismo e possibilità di prenotare visite guidate con degustazioni.
Comunque vada, il viaggio alla scoperta dei vini italiani e dei loro territori è una esperienza che ci aiuterà a costruire insieme il nostro futuro.
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