Lo sai che il grano saraceno non è un grano?
Noi lo abbiamo imparato andando a fotografare le piantagioni di grano saraceno lo scorso luglio e con nostra sorpresa ci siamo trovati di fronte ad un campo di fiori bianchi con milioni di api. I campi erano coltivati dalla Cooperativa Terre Sane e il presidente Vincenzo Venditti ci ha detto che avevano calcolato circa 5 milioni di api in tutte le coltivazioni che gestivano.
Accanto al campo delle arnie confermavano la presenza degli insetti mentre il loro ronzio riempiva l’aria con una particolare musica.
Il grano saraceno non appartiene alla famiglia dei cereali ma a quella delle Poligonacee e per questo è privo di glutine. Forse il nome della famiglia deriva dalla sua strana forma a piramide con molti lati. Mentre il nome Saraceno si dice sia dovuto al fatto che è stato portato in Italia dai Turchi che venivano chiamati Saraceni.
Anche questa pianta, come moltissime altre, è originaria dell’Asia e per secoli è stata coltivata nelle zone di montagna del Trentino e della Valtellina. Infatti è un ingrediente fondamentale di alcuni dei loro piatti tipici come i Pizzoccheri e la Polenta di Taragna.
Il grano saraceno è ricco di minerali come il magnesio (ma anche manganese, rame e fosforo), vitamine del gruppo B, ed E, proteine e fibra. Ma questa pianta racconta non solo la storia di un alimento capace di aiutare chi soffre di diabete, di ipertensione e addirittura di tumore. Oggi il grano saraceno racconta anche storie di riscatto culturale che poi sono diventate un riscatto sociale.
Negli ultimi decenni, l’industrializzazione dell’agricoltura e il monopolio di poche multinazionali aveva portato alla fine della biodiversità e arricchito le nostre tavole con farine additivate con glutine e con presenza di reagenti chimici come il glifosato. Non è un caso l’aumento esponenziale di alcune malattie sia nelle aree di coltivazione di queste piante che fra i consumatori abituali di pasta.
Il ritorno all’agricoltura di molte persone, con un alto grado di istruzione da una parte, e dei consumatori informati dall’altra ha portato sempre di più a modificare le coltivazioni dei piccoli imprenditori.
Per combattere lo strapotere delle multinazionali che stabiliscono il prezzo del grano in una borsa merci agricola taroccando il fair play del mercato ha spinto alla riscoperta di grani antichi che non seguissero la logica del mercato.
Così nuovi agricoltori si sono avvicinati ai campi ed hanno iniziato a coltivare grani antichi e di cui si stavano perdendo le tracce. Senatore Cappelli e anche Grano Saraceno sono tornati ad essere nomi familiari a noi consumatori. Ovviamente tutte coltivazioni biologiche, addirittura omeopatiche.
Come consumatori, poi, non abbiamo più l’anello al naso e vogliamo sapere chi coltiva i campi. Vogliamo nome e cognome di chi ci fornisce le materie prime e i prodotti che finiscono sulla nostra tavola.
Così siamo andati a Ripi e abbiamo scoperto che il grano saraceno non è un grano, abbiamo sentito la storia della cooperativa Terre Sane che ha ripreso a coltivare piccoli campi sparsi per le colline di questo angolo affascinante della Ciociaria e di molti altri paesi.
Ci hanno portato nei campi di farro di Esperia, di Atina e di altri paesi di questa incredibile area che è la Ciociaria.
Un lavoro difficile con il sogno nascosto di ricreare un paesaggio fatto di campi coltivati che possa anche essere in grado di dare nuova armonia ai territori. Di far arrivare nuovi visitatori. Che possa far tornare nei giovani il desiderio di occuparsi del proprio paese e di non abbandonarlo in cerca di fortuna all’estero.
Il grano saraceno è allora il primo passo di uno stile di vita, un lifestyle, che unisce produttori e consumatori nella rinascita dei propri territori. Quello che serve ora è di diffondere sempre di più questa consapevolezza, di essere in tanti a sognare perché i sogni si avverano.
E se non si avverassero vivere per noi avrà avuto un significato diverso. E ci saremo divertiti insieme nelle cocomerate dopo il raccolto, nelle feste di paese, nel fare fotografie, nel raccontarlo e … nel mangiarlo insieme a tavola!
La storia del mugnaio e le ricette alla prossima storia.
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