La storia della frisella si divide tra le marinerie di Puglia e la Calabria che se ne contendono l’origine. Ma si dice che in realtà sia vecchia di 2000 o più anni e che addirittura furono i Fenici a portarla nella nostra penisola.
La frisella nasce per un’esigenza tecnica, in mare si deve pur mangiare ed i frigoriferi non esistevano. Occorrevano cibi che potessero resistere nel tempo ed ecco il pane cotto per metà, tagliato e poi infornato una seconda volta. La frisella può quindi essere definita come un bis-cotto di pane e grazie a questo sistema può essere conservato a lungo.
Per questo i marinai lo imbarcavano e potevano mangiarlo durante tutta la durata della navigazione.
La sua forma a ciambella, poi, la rendeva idonea ad essere impilata e trasportata facilmente senza troppe rotture. Ancora oggi in molte zone d’Italia si hanno alcune celebrazioni religiose in cui ciambelle impilate vengono portate in processione prima di essere mangiate. Soprattutto durante le celebrazioni di Sant’Antonio Abate a gennaio.
I primi romani non conoscevano il pane e mangiavano polenta di grano. Per il mais bisogna invece aspettare un genovese di nome Cristoforo.
La frisella si presta svariate soluzioni, buona anche nelle zuppe invernali ma la classica salentina è con i pomodori rigorosamente San Marzano, basilico ed olio di oliva.
Ma si può arrivare a soluzioni più elaborate come questa mia interpretazione dei profumi del mare.
Attenzione! Per una perfetta riuscita, non bagno il pane in acqua per farlo rinvenire ma uso la polpa dei pomodori, certo occorre più tempo ma il sapore cambia di molto.
Arricchisco la frisella con i moscardini scottati in acqua aromatizzata all’aceto di mele e alcune verdure grigliate e crude, per dare un mix di acidità e freschezza. L’aglio ed il basilico sono fondamentali.
Nel bicchiere bevo un Licosa di Castellabate, un Fiano coltivato da una piccola realtà che ha le sue vigne a contatto con il mare.
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