I promessi fidanzati siciliani di un tempo, “Lu zitu e la zita”

I promessi fidanzati siciliani di un tempo, “Lu zitu e la zita”

Quando il calpestio dei passi con le scarpe della festa risuonava per la piazza di Cattolica Eraclea, le persone che vi abitavano si affacciavano subito ai balconi per vedere cosa stesse accadendo.

Spesso si trattava di un corteo formato da fidanzati, che camminavano davanti, seguiti dalle coppie dei genitori e da una fila di parenti che si spostavano insieme alla coppia per poter controllare tutto.

Una volta, in tutte le loro uscite i due promessi erano seguito e spesso dovevano affrettare il passo per poter parlare senza essere ascoltati. Così si vedevano tutte le persone che li seguivano correre trafelate e affannate.

Prima del matrimonio la coppia non doveva avere nessuno spazio né per parlare né per allontanarsi da sola.

L’unione tra un ragazzo e una ragazza, tra l'altro giovanissima che non superava mai i sedici anni, era spesso vincolata da motivazioni ben diverse dall’amore.

I genitori, nella maggior parte dei casi, fidanzavano i propri figli per interessi economici o sociali. O più frequentemente per avere una bocca in meno da sfamare, dato che le donne non lavoravano e dovevano essere mantenute dai mariti.

Le ragazze promesse in matrimonio non potevano assolutamente opporsi alla volontà familiare ed erano quindi costrette a sposare l’uomo non amato.

Normalmente era la madre dello sposo che sceglieva la donna per il proprio figlio, chiamava a raduno tutta la famiglia e i parenti, si recava a casa della prescelta per fare la richiesta della sua mano al padre di lei.

Se il genitore accettava la proposta, la giovane avrebbe dovuto mantenere atteggiamenti riservati in pubblico e a casa.

 

Inoltre, alle promesse spose era vietato vestire abiti succinti e uscire da sole.

Il fidanzamento ufficiale avveniva prima del matrimonio e, in questa occasione, le famiglie dei due fidanzati rendevano “ufficiale” la relazione dei figli all’intero paese con un ricevimento fatto a casa della sposa.

Seguivano i contratti prematrimoniali, fatti alla presenza di un notaio, con l’elenco di ciò che le ragazze dovevano possedere al momento del matrimonio.

Spesso, durante questi incontri le famiglie litigavano e la figura della mamma dello sposo emergeva per la sua arroganza e per le sue pretese, distinguendosi dalla mamma della sposa. Questa sembrava più remissiva e più propensa ad assecondare la consuocera, manifestando la sottomissione della propria figlia nei confronti del suo figlio maschio.

Dopo i genitori si accordavano per il giorno delle nozze per inviti, invitati, festeggiamenti e pranzo. I matrimoni non si dovevano celebrare a maggio e a novembre perché c’era la credenza che non sarebbero durati, pertanto nessuno osava stabilire la data delle proprie nozze in quei mesi.

La suocera regalava alla nuora un abito nero, elegante, di velluto o di broccato, con le scarpe, la borsetta e i guanti. Questo era chiamato l’abito degli otto giorni, infatti la sposina doveva indossarlo per i primi otto giorni dopo matrimonio, quando usciva col marito a far visita a parenti e amici o a fare una passeggiata, per dimostrare che continuava ancora la festa delle nozze.

La coppia, per tutti gli otto giorni, era invitata a pranzo e a cena dai parenti.

Le famiglie più facoltose, invece, usavano regalare alle nuore due abiti completi di tutto, uno degli otto giorni e uno dei quindici giorni. Quest’ultimo era solitamente grigio o blu, ma sempre molto elegante.

In questo modo il periodo della festa di matrimonio durava una o due settimane in più.

Dopo riprendevano la vita normale di tutti i giorni, le donne preparavano da mangiare a casa loro, sbrigavano le faccende domestiche, facevano le visite ai genitori e ai suoceri, che chiamavano tutti e due ‘mamma’ e ‘papà’.


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