Il grande uomo se ne stava tutto rinserrato in un angolo della sua orribile capanna-prigione, lassù sull’altopiano. Faceva freddo ma la rabbia che lo bruciava di dentro non gli bastava a farlo scaldare anche fuori.
Erano passati già sette giorni da quando, il proprietario della haciendas di canna da zucchero, lo aveva imprigionato al suo lavoro come uno schiavo.
Essere un uomo imponente e non poter far nulla per la propria salvezza è veramente umiliante, specialmente se chi ti domina è un gracile tiranno.
Mai avrebbe pensato di finire così. A quel tempo era normale lavorare la terra in condizioni quasi feudali. Non però fino a privarti della tua sacra libertà.
Eppure era successo davvero. L’ira diventò pianto.
Alzò la testa verso l’unica finestrella del suo tugurio. La luna!
Dove era finita la luna? Un istante prima era lì, al centro di quella modesta apertura verso l’esterno. S’alzò incredulo e con la faccia appiccicata a quell’unico sbocco cercò inutilmente lassù fuori, in quello spazio celeste, sereno, stellato. Niente.
Come era possibile? D’improvviso cantò un gallo: stava per salire l’alba?
Ancora un canto; ancora. L’aria non cambiò luce minimamente. Nessuna aurora. Non sapeva l’ora ma, di sicuro, per alzarsi era presto anche per il sole.
Cosa stava accadendo?
Mentre ancora stava cercando una risposta alle sue domande, sentì la porta della prigione aprirsi dietro di lui. Sulla soglia, comparvero sorridenti due bei bambini bruni; un maschio ed una femmina.
“Ciao grande uomo, non temere!” disse la bimba.
“Chi... chi siete?!?”
“Siamo i figli della Pastora dell’altopiano. Ha saputo che ti tenevano incarcerato qui ed addolorata per la tua condizione ci ha chiesto di liberarti”.
L’uomo li guardò con lo stupore di una notte impossibile.
“Come avete fatto a passare il recinto alto e spinato sulle cime?”
“Ci siamo passati sotto!” disse la bimba con aria furbetta.
L’uomo sorrise e per l’emozione nemmeno ci pensò che quella terra era troppo dura per essere scavata da due bambini. Ci aveva provato lui stesso, invano, il giorno prima.
Comunque, ora, non ci volle tanto a convincerlo a scappare.
Lo presero per mano ed insieme attraversarono tutto il campo fino alla recinzione. Passarono quindi lì sotto, dentro ad uno scavo grande giusto come la sua persona, neanche gli avessero preso le misure addosso.
Ci passò veloce, senza procurarsi il benchè minimo graffio.
Poi su, su; arrampicandosi sulle rocce. Molto più in alto. Lassù fin dove viveva la loro madre. Quando giunsero alla loro casa, la Pastora li stava aspettando davanti ad un allegro falò.
“Grande uomo! Che felicità saperti libero!”
“Grazie a te e ai tuoi figli. Vi ringrazio con tutto il mio cuore! Come potrò mai sdebitarmi con voi?”
“Saperti in salvo mi rende già felice” disse la Pastore voltandogli le spalle e tornando a ravvivare il suo falò. Dopo un attimo di silenzio però, con voce indagatrice, gli chiese: ”Ci tieni così tanto a sdebitarti con noi?”
“Certo. Con tutta la mia anima, signora Pastora!”
“Bene. Un modo ce l’avresti per farlo. A sud; molto, molto lontano da qui, ci sono alcune terre che mi appartengono ma che nessuno ha mai coltivato”.
“Vuole che vada io a lavorare quei terreni?”
“Mi faresti un gran piacere davvero! Vorrei coltivarli con vigneti fino ad oggi sconosciuti a quelle regioni: con uve della varietà Malbec”.
“Mai sentita nominare in vita mia. D’altra parte, però, io non ho mai coltivato uva ed un po’ d’ignoranza ci può stare...”
“Dunque?”
“Dunque, devo comunque sdebitarmi con voi. Una maniera la troverò certamente per farvi questo favore”.
Si fece spiegare per bene dalla Pastora dove si trovava quel posto. Si fece dare i semi per quelle viti e partì, senza nemmeno avvertire la sua famiglia. Ci avrebbe pensato personalmente la Signora dell’altopiano.
Il grande uomo camminò per lunghi giorni e notti, attraverso quei monti dalle incredibili altezze. Un panorama costante di cordigliere che lo cingevano da oriente ad occidente, come se non ci fosse uno sbocco verso il piano, in una morsa psicologica soffocante.
Durante il viaggio però, in contrapposizione a questa oppressione, trovò la pacificità disarmante degli animali selvatici che gli offrirono generosamente del latte per dissetarsi, della lana per scaldarsi e delle prede per sostenersi.
Mentre dagli altri animali, solitamente più aggressivi e pericolosi, ricevette solo indifferenza, come se obbedissero ad un comando inverosimile della Natura.
Così, dopo il suo lungo tragitto in mezzo a questi sentieri rocciosi millenari, giunse infine alle sconfinate Terre dalle Crete Colorate che, con il loro superbo spettacolo di striature a sfumature cangianti, avrebbero riempito di meraviglia gli occhi di qualsiasi avventore.
Quando fu sazio di guardare tanta bellezza, cominciò a cercare tra di quelle pianure e colline il passaggio di un qualsiasi fiume o torrentello; almeno la presenza di un lago! Niente. Non si scorgevano né abitazioni, né coltivazioni fino a perdita d’occhio.
Senz’acqua non può esserci la vita. Quella distesa bellezza colorata si rivelò invero un deserto. Abbattuto da questa sconfortante scoperta ed esausto dal lunghissimo cammino si coricò a riposare sulla nuda terra. Prese sonno subito e sognò ancor prima.
Nel sogno apparve la Pastora con i suoi due bambini: “Grazie per aver dato alle mie terre un vigneto fecondo!”
“Ma io non ho fatto ancora niente, signora...” La Pastora sorrise e lo invitò a voltarsi.
Dietro di lui le valli avevano mutato d’aspetto: lunghe fila di floride viti cingevano i fianchi dei monti come ornamenti di una bella sposa. Alberi, fiumi, terra e cielo collocati perfettamente nell’infinità di quegli spazi vergini.
“Quando mai è successo questo?” chiese l’uomo.
“Nel tempo di un sogno” gli rispose la Pastora.
“Cosa? Chi siete dunque voi, veramente?”
“Io sono la Pastora, la Madre, la Sposa, la Terra: io sono la Pachamama!”
Il grande uomo d’istinto s’inginocchiò a terra, in preda ad un timore reverenziale.
Intanto i due bambini furono elevati al cielo e presero a brillare con i loro corpi, di una luce diversa l’uno dall’altra.
Il bimbo emetteva una luce accecante. Salì verso mezzogiorno e divenne il Sole.
La bimba, dalla luce più tenue e dolce, si pose nell’aria verso ponente e divenne la Luna.
L’uomo riaprì gli occhi e risvegliandosi, si ritrovò dentro ad una elegante casa, seduto nel soggiorno.
“Ah, ti sei svegliato infine! Povero il mio marito: oggi ti sei affaticato così tanto, là nei campi, che ti sei addormentato subito appena hai toccato il divano!”
Un bimbo gli s’infilò a sorpresa tra le gambe e gli gridò con la faccia dolce: -Babboooo!!!-
Il buon lavoratore allora prese in braccio quel bambino e con il cuore colmo d’emozione uscì dalla casa.
Era tutto come nel sogno. I vigneti, gl’alberi ed il fiume.
Lassù, dietro le imponenti montagne azzurre, il cielo degradava dal celeste all’arancio fino al rosso, dove il sole si perdeva sciolto tra di quelle vette.
Era il tempo della vendemmia. La Pachamama lo aveva benedetto con dei frutti fecondi, sia dalla terra che dalla sposa.
Un figlio, illustre dottore entro i vent’anni ed un superbo vino rosso che non avrebbe trovato eguali in tutto il mondo.
Fu così che, quindi, il grande uomo dalle montagne, con la dignità degli assopiti, rese fertile anche il deserto.
Seguici sui social