Con alcune persone fidate (Nerchia, Tex Willer, Porcaccio, Sbattilana II e il Poeta) sono salito in cima al melo più alto della piantagione e abbiamo goduto della vista del frutteto in tutta la sua bellezza.
Il meleto ha 16 filari, contrassegnati con lettere dell’alfabeto, e la parte storica ha circa 500 piante di varie qualità. Dove c’erano dei vuoti ho messo a dimora le prime 110 piante di giovani meli del territorio: 50 limoncelle, 50 cerine e 10 annurche.
Studiando mi sono imbattuto in una notizia curiosa: a Geneva, nello Stato di New York, l’organizzazione governativa Plant Genetic Resources Unit ha in cura la più grande selezione mondiale di meli. Circa duemilacinquecento varietà provenienti da ogni parte del pianeta.
Questa notizia è stata lo spunto per iniziare quello che ho definito il “percorso didattico”.
Lungo la recinzione in basso, a confine con la strada vicinale che dal campo sportivo porta sotto le vasche che una volta venivano utilizzate per lavare i panni, ho messo a dimora le prime 21 differenti qualità di melo: limoncella, cerina, annurca, renetta, florina, tinella, san giovanni, antica, red delicious, sansa, mula, golden delicious, rosa, granny smith, fuji, gala, red love, abbondanza, janagold, stayman e imperatore.
Anche queste piante sono state oggetto di adozione e oggi recano tutte la targhetta attraverso cui risalire all’adottante.
Ma la storia continua e ho successivamente messo a dimora un kako mela (MM00K) e 7 nuove varietà di melo (gelata, elstar, zitella, astracan, pinova, paradisa e prima) che adesso aspettano un genitore.
È mia intenzione continuare a far crescere la famiglia che ha sposato questa iniziativa. Proverbio cinese:
“Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è oggi”.
E adesso qualche novità sulla difesa fitosanitaria delle piante da frutto, fra i mezzi naturali per combattere afidi, acari e insetti nocivi, mi è stato consigliato un infuso d’aglio tritando i bulbi in acqua e portandoli a ebollizione.
Ho così preparato il prodotto che abbiamo nebulizzato sulle piante insieme alla poltiglia bordolese e all’olio bianco. Potete immaginare l’odore che ci siamo portati dietro dopo il trattamento!
Le piante sono sfiorite e ora aspettiamo i profumi dei frutti…
Flashback!
Qualche anno fa mi trovavo a passeggiare per un mercato di Boston quando riconosco in mezzo alla folla il volto di un ortonese emigrato molti anni prima in America.
Mi sembra strano, allora mi avvicino e gli domando a bruciapelo se avesse a che fare con Ortona dei Marsi.
Dopo un attimo di perplessità, gli si illuminano gli occhi e insiste perché accettassi tutta la frutta che aveva appena comprato: c’era anche un chilo di ottime mele che, forse, gli ricordavano quelle paradisiache della sua terra.
Che bella Ortona dei Marsi!
Seguici sui social