Ho sempre pensato che la mia Pergola avesse tanto da raccontarmi: storie altisonanti di letterati, partigiani, cantanti, pittori, soldati di ventura.
Persone che hanno dato lustro alla nostra Pergoletta santa, che sono entrati nella Storia con la ‘S’ maiuscola, e hanno portato un po’ di noi nel mondo.
Ma nel tempo ho prestato ascolto anche alle storie raccontate dai vecchi, quando riuniti a crocchi, su sedili improbabili, mi snocciolavano aneddoti legati alla loro vita passata o mi narravano storielline maliziose, dette a mezza voce con gli occhi brillanti di gioventù.
[caption id="attachment_118718" align="center-block" width="750"] Pergola - foto Fabrio Ceccarani[/caption]
Altre volte, distrattamente, mi accennavano a pettegolezzi più o meno piccantini, a me che ero una monella come tanti che scorrazzavo fra vicoli e cantoni.
Di questi inconsapevoli narratori, ne trovavi sempre qualcuno, salendo dalle Birarelle verso San Francesco.
E la mia Pergola trova sempre qualcosa da raccontarmi anche con gli odori e i profumi, quando chiudendo le persiane di sera il profumo del fiume sale fino alla mia finestra e mi inebria.
Un profumo umido e forte, un profumo di acqua e terra, a rammentarmi che imperterrito il fiume Cesano passerà comunque sotto il ponte, davanti alla Chiesa delle Tinte, che io lo voglia oppure no.
Che l’acqua correrà lo stesso verso il mare scendendo dal Monte Catria, incurante di me o di qualsiasi altro pergolese, e che girata l’ultima ansa accoglierà il suo fidato amico Cinisco e insieme arriveranno all’Adriatico.
Profumo di fiume che si fa stordente, quando a primavera, acacie, gelsomini e sambuchi si uniscono al suo atavico e primordiale odore.
Odori che cambiano con le stagioni.
Quando a Carnevale il fritto dolce delle Cresciarelle e dei Castagnoli, e l’aroma del miele fuso della Cicerchiata, saturano l’aria e impregnano i vestiti punteggiati di coriandoli.
O quando, a Pasqua, ogni casa profuma di Crescia col formaggio, e le finestre aperte spandono nella via un effluvio di golosità e tradizione.
O ancora quando, in autunno, passando davanti alle case del cantone, durante la cottura dei Biscotti col Mosto, è impossibile non indovinare cosa si stia preparando.
O la domenica mattina, quando senti l’inconfondibile fragranza del sugo di carne in umido per le tagliatelle, o quello di una teglietta di pasta al forno che si contende la cottura con un bel pollo arrosto.
E se all’ora di pranzo ancora non sei rientrato a casa, udire il familiare acciottolio di forchette e coltelli, a infilzare e a tagliare nei piatti, rumori prosaici e poetici insieme, ti fa benedire il tetto che ti aspetta e sorridendo allunghi il passo.
Girando per la mia Pergola, posso ancora sentire o immaginare odori lontani.
Quelli della mia infanzia quando mille botteghe esponevano la merce sui banconi o negli scaffali. Quando si faceva la spesa con la sporta e chiedevo a mamma di comprarmi i biscotti al miele di Snoopy al Botegone.
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Mentre passando davanti alle chiese, a volte chiuse, puoi percepire, insieme al medesimo odore stantio delle case vecchie e disabitate. Un sentore d’incenso a ricordarci che la fede ha sempre accompagnato la vita di noi pergolesi e che in nome di questa abbiamo fatto grandi cose, costruito luoghi di culto degni di nota, dalle architetture varie e variegate che nemmeno i numerosi terremoti hanno mai piegato totalmente.
Perché sì, Pergola può elencarti tutti i sommovimenti che Madre Terra le ha riservato e che ha subìto, con tenacia quando è rimasta in piedi imperterrita, con qualche graffio quando ha ceduto qualche muro, con le crepe quando lo scuotimento è stato ben incassato.
La mia città non ama lo strepito, quello lo lascia agli altri; a volte sembra restia al rinnovamento, per poi scoprirsi più moderna di quello che credeva.
La mia città ricorda la ricchezza di un tempo, ma speranzosa va verso il futuro, incerto come tutte le cose di là da venire. Non ha dimenticato la sofferenza e l’abbondanza, i rovesci grandi e piccoli e le vittorie, semplicemente non ne fa sfoggio, se le tiene per sé.
Pergola ha sempre una storia da raccontare, se si ha la pazienza di aspettare il momento buono, la curiosità di andare oltre l’apparente decadenza, e la voglia di capire il perché delle cose e del carattere degli abitanti.
Come una vispa nonnetta, sbucinando (cercando) nel sinalone (grembiale) tirerà fuori piccoli tesori e grandi meraviglie.
E te li donerà con un sorriso da giovane sposa, facendoti una carezza sul viso come una mamma amorosa, e inizierà dicendo: C’era una volta…
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