Quando ero piccolo, una volta al mese più o meno, i miei genitori la domenica mattina caricavano in macchina me e i miei fratelli.
Due ore di viaggio scarse e poi, aprendo lo sportello dell’auto, venivamo invasi dall’arietta frizzantina di Manziana.
La racconto così perché partendo da Velletri, a sud di Roma, arrivare all’estremo nord della provincia, significava anche un lieve sbalzo termico.
A Manziana faceva sempre più freddo che da noi… Ma non c’era tempo per pensare, io e mio fratello Valentino già dall’imbocco di via Tittoni ci preparavamo a chi usciva più veloce per entrare per primi a casa.
A Manziana infatti, all’epoca c’era ancora la chiave nella toppa e bastava girarla per entrare!
Un salto indietro nel tempo, alle comunità di una volta. Anche per noi che semplicemente venivamo da un paesone più grande e già sulla via della modernità.
Se così si può definire quello sfilacciamento dei rapporti personali, quell’allontanamento sociale che viviamo da molto prima che l’emergenza sanitaria portasse anche al distanziamento fisico.
Aperta quella porta, per noi bambini, ma anche da adolescenti, si entrava in una realtà felice.
Era la casa, piena di affetti, di zia Antigone, la sorella della nostra nonna paterna, e poi dei suoi figli Margherita, Peppino e don Amedeo.
Poi sono arrivati anche i figli di Margherita e suo marito Peppino (anche lui), i figli dei figli, che avevano più o meno la nostra età… Insomma, un rapporto che non si è esaurito e che ci vede ancora uniti.
Perché, seppure non lo fosse badando alla parentela, Manziana è per me il (mitico) paese dei nonni. Soprattutto nel mio caso, visto che non ho ricordi di nessuno dei quattro “effettivi”.
La scomparsa di zia Antigone, forse la prima cerimonia funebre di cui conservo nitidamente memoria, ha fatto sì che le redini di questo intreccio di famiglie passassero a zia Margherita, che da cugina “maggiore” aveva cresciuto mio padre rimasto orfano di madre da piccolissimo, tanti e tanti anni prima.
E qui, d’altronde, sono i ricordi d’infanzia più belli che mio padre conserva.
Uscire con lui per il corso di Manziana significava andare a trovare Giulietto e tanti altri amici.
Quasi sempre bastava che zio Peppinello (il fratello di zia Margherita) indicando papà dicesse “lui è Ermannino” che la gente si aprisse in un sorriso e in un abbraccio.
“Ermannino” oggi ha 90 anni, e per lui Laura, la figlia di zia Margherita e quindi nipote di zia Antigone, prepara sempre la pizza di Pasqua, così come gli spaghetti con le noci a Natale.
Piatti forse simili ad altri (le fettuccine fatte in casa condite con cacao, rhum e noci magari non proprio) ma per noi assolutamente unici, dai profumi e dai sapori inconfondibili.
Senza dimenticare la famosa “minestra tanto bona che non sa’ di niente”!
Era la specialità di zia Margherita per la sera, quando si doveva ripartire per tornare a casa: “magari è meglio non esagerare che ti appesantisci per il viaggio…”. Ma come bontà… non ne parliamo!
Oggi la frequenza dei viaggi si è ridotta. Anzi è più probabile che vengano da Manziana a trovare i miei genitori. Sono cambiati i tempi e i ritmi. All’epoca noi avevamo un negozio di prodotti per l’agricoltura e la domenica era davvero libera.
Sono cambiate anche le persone ovviamente e quella generazione non c’è più.
Proprio poche settimane fa è scomparso l’ultimo dei tre figli di zia Antigone, don Amedeo, 103 anni di saggezza andati via in un momento strano, che ci ha impedito di poterlo salutare per l’ultima volta.
Però quando passo da Manziana, magari per andare a tenere qualche lezione ai corsi per sommelier, sono accolto e viziato come sempre: Laura e suo marito Mariano mi preparano cene speciali, quattro chiacchiere e un abbraccio di quelli che scaldano il cuore.
Ma mi sono rimasti alcuni misteri che devo ancora sciogliere come la visita alla Solfatara, un piccolo lago con geyser. Non potevamo andarci perché c’erano dei pericoli e soprattutto avevamo sempre tanta voglia di stare con gli zii-nonni.
Ci vado questa estate e osserveremo insieme le microesplosioni di acqua sulfurea! Tornerò a Manziana e porterò un po’ di Velletri con me, il vino fatto da papà ancora oggi.
Un modo per festeggiare le radici dei miei genitori ma anche le mie e quelle dei miei figli.
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