Pennellate di luce dalla Val D’Orcia

Pennellate di luce dalla Val D’Orcia

La luce.
Di questa terra incantata, prima di tutto, colpisce la luce.
Guizza nei campi arati, si arrampica sui filari di cipressi, accarezza le strade bianche.
Si spande pigra a cavallo del vento, per ammantare d'arancio vigneti, colline e oceani ondeggianti di grano.
La Val d'Orcia al tramonto è un canto di sirene. Ammalia, stordisce, ubriaca.
Ti soffia maliziosa in un orecchio per sussurrarti che qualcuno lì sopra, acquattato dietro una nuvola, si è divertito a dare forma compiuta all'idea platonica di Bello.
Pochi posti al mondo sanno urlare così forte la propria archetipa unicità. E scrivere di tutta questa bellezza a volte sembra superfluo e irrispettoso.
Anzi, quasi sacrilego.
È necessario viverla, la Val d'Orcia, respirarne l'intima essenza.
Bisogna perdersi tra i filari d'uva di Montalcino, tra i castelletti dei poggi, tra i palazzi rinascimentali di Pienza.
Bisogna sedersi sul bordo del vascone termale di Bagno Vignoni, certe mattine di maggio, e osservare rapiti la nebbia che danza tremula sull'acqua per sfilacciarsi fino a svanire.
Bisogna accomodarsi sulle panche di una vecchia osteria all'aperto di Monticchiello, davanti a un bicchiere di rosso e un piatto di salumi locali.
Mentre davanti a noi quell'orizzonte insolente puntellato di antiche torri, casali e cipressi sembra sgridarci, per ricordarci che un abbraccio tra uomo e natura sarebbe ancora possibile.
Questa valle, prima ancora di essere patrimonio dell'Unesco è patrimonio di tutti noi italiani.
È come Dante, Galileo, Caravaggio.
Una bandiera tricolore piantata sui bordi dell'infinito, che la sera d’estate sventola leggera al ritmo delle cicale che cantano.


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