In tarda mattinata arrivò ad Alessandria della Rocca il giovane ricercatore dell’Università di Palermo per poter approfondire gli studi su due statue lignee del Settecento che si trovano nella chiesa Madre.
[caption id="attachment_120973" align="center-block" width="680"] Foto di iCastelli.it[/caption]
Prima di avviarci, ci siamo gustati un aperitivo all'interno della villa comunale, o più propriamente, del Parco delle Rimembranze, tra il Monumento ai Caduti della Grande Guerra e gli alberi di leccio. Un albero ogni alessandrino caduto in guerra.
Dalla terrazza abbiamo ammirato il panorama del lago, chiamato diga Castello, con i ruderi della roccaforte del IX secolo che fu il simbolo del potere prima della fondazione del nuovo borgo di Alessandria della Pietra.
Il giovane ricercatore iniziò a chiedermi notizie circa le origini del comune e cos'altro avremmo potuto vedere.
Prontamente iniziai: "Alessandria della Pietra è stata fondata da Carlo Barresi nel 1570 e proprio quest'anno ricorre il 450 dalla licentia populandi che lo stesso ottenne".
Mi accorsi, però, che quelle notizie stereotipate erano riduttive per l'interlocutore che avevo davanti.
Mi fermai un attimo e decisi di procedere diversamente: ebbi la strana impressione, poi rivelatasi certezza, che quel giorno sarei stato più io che lui ad arricchire la mia curiosità storico-artistica.
Ci avviammo verso la chiesa Madre, edificata nel 1610 sulle rovine della chiesetta dedicata a San Nicola, primo protettore del paese.
Una volta entrati il suo sguardo si posò subito sul gruppo scultoreo settecentesco raffigurante la Madonna del Carmelo con in braccio il Bambino ed inginocchiato San Simone Stock.
Iniziò a farmi notare che, anche l’autore con tutta certezza era il palermitano Girolamo Bagnasco.
E qui cominciai ad essere incuriosito da tanta sapienza.
Passammo all’altare settecentesco e convenimmo che doveva essere di autore locale, così come le grandi tele poste ai lati ed in fondo alle navate laterali. Mentre quella sopra il fonte battesimale era stata dipinta dal Provenzani.
Si soffermò poi ad ammirare la statuetta della Madonna della Rocca, eletta patrona di Alessandria dopo il prodigioso ritrovamento nel Seicento. Una piccola statua alta appena cm 60 in marmo che raffigura la Vergine Maria con il figliolo avvolta in un manto fregiato e panneggiato.
Continuammo il nostro percorso giungendo alla chiesa del Convento dove attualmente è custodita la statua di san Giuseppe: quella per cui lui era venuto.
Si fermò davanti quell'opera d'arte, recentemente restaurata: si trattava verosimilmente di opera di scultore siciliano della fine del XVII o inizi del XIX secolo.
La statua era molto bella: il volto delicato del santo e del Bambino, il dolce sguardo di entrambi, la sinuosità del mantello che lo avvolgeva, i colori.
Tutto rende questa scultura lignea un'opera d'arte di un certo spessore.
Si soffermò lungamente ad ammirarla dopo di che lo invitai ad alzare gli occhi verso la cantoria dove era collocata una tela secentesca.
Mi disse che sicuramente doveva essere qualcosa di veramente importante.
Eh si. Si trattava di Elisabetta Barresi che in quella tela “somigliava alla medesima”, come scriveva uno dei suoi discendenti, il Principe di Resuttano, nel 1672.
La barunissa, protagonista dei miei tre romanzi giallo-storici, era una donna fervidamente religiosa, grande benefattrice, politicamente ed intellettualmente astuta, donna in affari.
È a lei che si lega indissolubilmente la storia di Alessandria della Pietra che, sotto la sua investitura, conobbe il suo massimo splendore.
Passammo poi per la chiesa del Carmine, l'esempio più fine e più classico dell'arte barocca ad Alessandria della Rocca. Infine arrivammo al Collegio di Maria sul cui unico altare si trova la statua lignea dell’Immacolata Concezione.
Il professore la osservò attentamente e disse che proveniva dalla scuola napoletana dalle fattezze e dai lineamenti dei volti.
Mi ha spiegato come per tutto il Settecento era continuata l’importazione di statue lignee dalla Campania e che anche da noi ci dovevano essere stati forti contatti e scambi con Napoli, che non vennero meno neppure quando l’Isola passò dalla dominazione spagnola a quella dei Savoia.
Si trattava di un’opera veramente singolare e di una bellezza unica.
Una statua della Madonna Immacolata avvolta in un manto azzurro e posta su una nuvola, con alcuni angeli che la guardano estasiati mentre Lei schiaccia con il piede il serpente tentatore.
Il tempo è volato e c’era ancora tanto da vedere: le necropoli sicane, i palazzi baronali, la Turri e tanto altro.
Ma la sensazione più strana è stata l’impressione che il visitatore fossi stato io.
Per un giorno aveva guardato quelle opere d’arte a me familiari con occhi diversi, grazie a quanto il giovane ricercatore metteva in risalto.
Era come se non li avessi visti prima di allora.
In effetti fu un completarsi a vicenda e lui me lo confermò. Fu un continuo alternarsi, quasi una gara per mettere in risalto io la storia del paese e lui a parlare di artisti locali e di botteghe napoletane.
Foto di Copertina da iCastelli.it
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