Cucinare è un’arte. Una tradizione culinaria è un patrimonio da cui rinascere.
Questo lo pensa anche l’UNESCO che redige una lista del patrimonio di tutti i paesi del mondo. Da una parte il patrimonio artistico dei monumenti realizzati dall’uomo, dall’altra quello del paesaggio con alcuni territori caratteristicamente legati ad alcune produzioni, come ad esempio le colline dei Prosecco, le Langhe o la montagna Tian Mu dove si coltiva il tè.
Ma l’UNESCO sta redigendo anche la lista del Patrimonio Intangibile dell’Umanità, ossia quell’elenco delle tradizioni locali che fanno parte della cultura intrinseca di un territorio e, quindi, dell’umanità.
La cucina è sicuramente un patrimonio di altissimo valore e nel 2013 ha inserito la Dieta Mediterranea fra i patrimoni da salvare. Ma se la Dieta Mediterranea comprende i tanti paesi che si affacciano su questo mare, l’Italia ha un suo primato personale.
Nel 2017 ‘l’Arte tradizionale del pizzaiuolo napoletano’ è entrata a far parte della lista UNESCO dando un implicito riconoscimento di valore a uno dei simboli italiani che ci stavano scippando multinazionali spregiudicate.
L’arte comprende tutti gli aspetti precedenti all’assaggio di questa prelibatezza: la preparazione dell’impasto, il movimento rotatorio che fanno i pizzaioli per stendere la pizza facendola volteggiare in aria e la cottura nel forno a legna. Ma del patrimonio fanno parte anche le canzoni, le espressioni e il gergo dei pizzaiuoli.
In poche parole: la nostra essenza di italiani, quello con cui siamo cresciuti e che cerchiamo quando selezioniamo la pizzeria dove andare a cena. E si sa che questa arte è nata a Napoli.
Chi non conosce che la Pizza Margherita è stata creata a Napoli con i colori della bandiera italiana (basilico, mozzarella e pomodoro) in onore della Regina Margherita?
Dal 1998, a Napoli esiste l’Accademia dei Pizzaiuoli Napoletani (mi raccomando di mettere la ‘u’ nella parola che si pronuncia ‘alla napoletana) che organizza corsi e un Campionato Mondiale del Pizzaiuolo.
Tutto è partito da un’intuizione di Alfonso Pecoraro Scanio che è stato ministro dell’agricoltura in Italia nel 2000 e che è riuscito a raccogliere 2 milioni di firme in 100 paesi e di coinvolgere oltre 600 ‘brand ambassador’ per presentare la candidatura all’UNESCO.
Era una candidatura difficile perché mai prima di allora erano state prese in considerazioni tradizioni connesse all’arte culinaria.
Alfonso Pecoraro Scanio aveva però visto a malincuore grandi catene americane, come Pizza Hut o Domino’s Pizza, fare una tale campagna di comunicazione pressante da far credere che la pizza fosse americana. Anzi, alcuni americani sono ancora realmente convinti che la pizza sia un loro piatto nazionale. Forse sarà mangiata più in America che in Italia, ma la pizza è nata a Napoli.
"Il riconoscimento dell'Arte del pizzaiuolo napoletano nella prestigiosa Lista del Patrimonio immateriale dell'Unesco è la riaffermazione di una tradizione storica che per il nostro Paese rappresenta, da secoli, un vero elemento d’unione culturale. Sono veramente entusiasta del risultato ottenuto perché, seppur la candidatura fosse forte e credibile, si tratta di un successo affatto scontato ma perseguito dopo anni di intensa attività e dedizione, al fine di poter garantire la valutazione positiva da parte del Comitato Unesco".
Questo ha ridato dignità alle piccole pizzerie artigianali che però spesso non ne hanno saputo approfittare. Se la pizza è ‘cultura’, occorre che gli artigiani diventino ‘agenti culturali’ se vogliono promuovere la loro attività e aiutare la crescita di un territorio.
Significa che fare la pizza deve diventare un vero elemento di promozione del territorio, dei prodotti e delle tradizioni locali. Deve essere un seme di crescita locale.
Soprattutto ora che il coronavirus ha costretto gran parte della popolazione del mondo a stare in casa e quasi tutti hanno iniziato a fare la pizza nelle loro cucine, i pizzaiuoli e gli artigiani dei piccoli locali devono alzare il livello della competizione e diventare ‘testimonial e narratori del territorio’.
In questo modo si può arginare anche il problema della contraffazione del cosiddetto ‘Italian Sounding’, tutti quei prodotti che vengono chiamati con nomi che richiamano quelli italiani ma che sono prodotti in altri paesi. E ha un senso la campagna #nofakepizza e #nofakefood lanciata da Alfonso dopo il successo del riconoscimento UNESCO.
È la nostra cultura e le tradizioni millenarie che ci differenziano e ci rendono unici e speciali. Potremo costruire #IlFuturoNelleNostreRadici se solo facessimo un viaggio alla scoperta dei nostri valori.
Non ho ancora visto molti locali esibire la cultura ed essere orgogliosi di perpetrare una tradizione che è simbolo di italianità del mondo, ma sono sicura che stiamo tutti prendendo coscienza del valore delle nostre tradizioni e dei successi raggiunti come il riconoscimento UNESCO dell’arte dei piazzaiuoli napoletani.
Andate a sentire una delle conferenze di Alfonso Pecoraro Scanio per capire come ogni territorio ha la sua caratteristica culinaria che lo esprime. E seguite DIscoverplaces con le nostre storie di quei territori per scoprire la bellezza del nostro paese e trovale l’ispirazione per ripartire.
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