Eccomi di nuovo qui, vi scrivo da Bali, una terra che ci sta accogliendo con dolcezza e calore dopo l’intensità dei nostri giorni in Cina. Da quasi un mese viviamo qui e, se le aspettative erano alte, la realtà le ha superate.
Appena arrivati, il primo impatto ci ha lasciati spiazzati: dopo settimane nella frenesia cinese, trovarci circondati da sorrisi sinceri, saluti gentili e sguardi accoglienti, ci ha fatto respirare di nuovo. È stato come sciogliersi lentamente in un abbraccio. In Cina, come vi raccontavo nello scorso articolo, ci è mancato molto il contatto umano. E sentirsi invisibili per così tanto tempo alla lunga pesa.
Ma se è vero che ci mancavano le connessioni con le persone, ancora di più sentivo la mancanza degli animali. Il mio cagnolino Joy mi manca ogni giorno: le sue corse in giardino, il suo muso appoggiato sulle gambe, i suoi occhi profondi. Certo, mi manca tutta la mia famiglia, in particolare mia sorella, ma a loro almeno posso parlare ogni giorno. Con Joy… è un silenzio che pesa.
Così, quando ho visto un annuncio su Facebook di due ragazze che cercavano qualcuno che potesse prendersi cura dei loro quattro bassottini (e un gatto!), non ci ho pensato due volte. E in un attimo, Giuseppe – che non aveva mai avuto un cane – si è ritrovato a convivere con cinque esserini vivaci e affettuosi.
Per me, invece, è stato come tornare alle origini. Sono cresciuta con animali attorno: nella mia testa, la famiglia non è mai stata solo umana. Si è sempre in otto: genitori, fratelli… e almeno un cane e un gatto.
Abbiamo accettato questa proposta anche con un pizzico di logica: l’estate si avvicina, il lavoro rallenta, i budget si stringono. Un’opportunità di pet sitting era perfetta per vivere qualcosa di nuovo e, al tempo stesso, risparmiare un po’.
La casa in cui siamo stati, onestamente, non era il massimo: niente piscina, lontana dal mare, senza lavatrice, e soprattutto senza un tavolo dove poter lavorare comodamente. Ma bastava riguardare le foto di quei musetti per convincerci.
E così abbiamo deciso: partiamo per questa nuova avventura.
Certo, non è stato tutto rose e fiori. Portare fuori quattro bassotti – Frank, Tiga, Potato e Drama – due volte al giorno con 40 gradi all’ombra è stata una piccola impresa. Le notti non erano da meno: tra guaiti, movimenti e salti sul letto, dormire è stato un optional. Ma sapete una cosa? Nonostante tutto, è stata una delle esperienze più dolci e divertenti del nostro viaggio.
E poi, è stato più difficile… ma anche, in un certo senso, più semplice.
Il nostro lavoro, per quanto appassionante, a volte può diventare alienante. Stare davanti al computer, giorno dopo giorno, e farlo da nomadi digitali – sempre in posti nuovi e con poche interazioni umane – può farci sentire soli, disconnessi.
Ma tra un report noioso e l’altro, tra un giorno di pioggia e uno di sole troppo cocente, avere Frank che ti porta un gioco, Potato che si avvicina in cerca di una carezza, e Tiga che non si separa mai dalla sua pallina se non per dartela… tutto questo ci ha scaldato il cuore. Ci ha fatto sentire, per qualche attimo, a casa.
Giuseppe, che all’inizio era un po’ titubante, ancora oggi mi dice che gli mancano. E io lo capisco. Erano una piccola combriccola disordinata e adorabile.
Bastava l’ora della pappa per scatenare la scena più buffa: ognuno con la sua ciotola, il suo posto, il suo modo di aspettare. E, ovviamente, chi finiva prima cercava di rubare qualche crocchetta agli altri. Una piccola famiglia a quattro zampe che ci ha fatto compagnia, coccolato, fatto ridere.
Il pet sitting è solo una delle tante alternative che esistono per viaggiare in modo sostenibile. Come nomadi digitali, ci sono infinite possibilità: dal couchsurfing al workaway, ogni esperienza è una porta aperta su un mondo diverso.
Questa, per noi, è stata una parentesi meravigliosa. Un’esperienza autentica, piena d’amore, che ci ha ricordato quanto poco serva – a volte – per sentirsi bene, per sentirsi amati. Bali ci ha accolti, sì. Ma loro… loro ci hanno fatto sentire davvero parte di qualcosa.
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