'Sò ttutte magna code e ssò ccarine
Sò ttutte magna code e ssò galante'
In questo stornello c'è il luogo di nascita di uno dei piatti più famosi della cucina romana e dell'uso del 5/4: la coda alla vaccinara nel rione Regola.
Ma cosa è il Quinto Quarto?
Per chi non è di Roma dobbiamo raccontare la storia della cucina romana tradizionale quando alla curia e ai nobili venivano riservate le parti più pregiate degli animali mentre al popolo venivano lasciate le frattaglie, il Quinto Quarto.
Queste frattaglie comprendono il fegato, i polmoni, la lingua, la trippa, la coda, le zampe, l’intestino e la milza, ma anche i testicoli, il cervello, le mammelle, i reni e il cuore. E fra le ricette dobbiamo citare la coda alla vaccinara, la trippa alla romana, la pajata, la coratella e le animelle.
La storia che raccontiamo riguarda la coda e forse il periodo doveva essere intorno al 1700, quando nel rione che costeggiava il fiume Tevere ci abitavano soprattutto vaccinari e conciatori di pelle.
Poi nel 1875, dopo l’unità d’Italia, furono eretti i muraglioni di contenimento per evitare che il fiume straripasse e creati i famosi viali lungotevere.
E per la loro costruzione distrussero molti edifici storici come la chiesa di San Bartolomeo dei Vaccinari, ossia coloro che lavoravano al macello e che scuoiavano le carcasse degli animali (vaccina vuol dire mucca) per separare la pelle ricevendo in regalo il famoso Quinto Quarto.
Ma prima dei bastioni, questi straripamenti lasciavano uno strato di sabbia, detta "renula", che per effetto della storpiatura linguistica divenne Regola, che diede poi il nome al rione Regola.
Inizialmente per questa ricetta si usava la coda di bue, e le massaie avevano l'abitudine di usarla per farne almeno due ricette: una minestra e la coda.
Le massaie prima bollivano la coda e ne facevano una minestra, poi continuavano a cuocerla preparando la ricetta più classica. Normalmente insieme alla coda si cuocevano anche i "gaffi", cioè le guance.
Oggi non prepareremo la coda alla vaccinara ma userò la coda di vitello per farne un ragù che condirà delle fettuccine.
Ricetta di fettuccine al ragù di coda di vitello
Prendiamo la coda di vitello, la tagliamo all'altezza delle vertebre e la laviamo. Mettiamo il pezzo in un tegame con un po’ di olio, rosoliamo da tutti i lati e bagnamo con del vino rosso. Facciamo evaporare l'alcool e aggiungiamo la cipolla tritata finemente per insaporire il tutto.
A questo punto aggiungiamo la passata di pomodoro con un poco di acqua, sale e pepe, e lasciamo cuocere per un paio di ore. Giusto il tempo di preparare la pasta.
Per l’impasto ho usato la farina di grano Solina, un grano antico di cui si hanno notizie sicure già nel 1500. Un grano che cresce in montagna, soprattutto in Abruzzo, e ha una bassa resa per ettaro e un lungo tempo di coltivazione. Ma il suo grande vantaggio è che il grano solina ha una bassa percentuale di glutine ed una alta percentuale di proteine ed è indicato per una alimentazione sana.
Prepariamo la pasta usando 1 uovo per ogni etto di farina circa. Stendiamo la pasta e poi la taglieremo a fettuccine larghe circa 7 millimetri e lasciamo asciugare un poco.
A questo punto siamo pronti per tornare alla coda: la togliamo dal sugo, la spolpiamo e la tritiamo grossolanamente. Poi rimettiamo i pezzetti nella salsa con la quale condiremo la pasta scolata al dente.
Nel bicchiere ho messo un vino che dovevo provare, un vino umbro della famiglia Lungarotti un blend di uve merlot e sangiovese: L'U, un rosso di buona struttura e piacevolezza in bocca
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